noi adulti nel Montessori (spunti e riflessioni da un corso di formazione)

“It is the child who builds up the man, the child alone (…) All the powers of the adult come from the possibility possessed by his “child-father” to attain the full realisation of the secret pattern that was his.” (M. Montessori, The Secret of Childhood, pp. 200-201).

g1_u28942_a_maria_montessori_1

Maria Montessori ha parlato e scritto molto a proposito del ruolo dell’adulto in relazione allo sviluppo del bambino. Si è sempre riferita agli adulti in generale, non solo ai genitori e insegnanti, poichè lei credeva fortemente che ogni adulto in relazione con un bambino dovesse essere consapevole del suo ruolo e dei suoi doveri e responsabilità. Consapevole che, anche se brevemente, stava facendo la differenza nella vita di quel bambino.

La Montessori copre molti aspetti della relazione adulto-bambino, e fornisce spiegazioni dettagliate su come l’adulto dovrebbe interagire con il bambino per aiutarlo a formare la sua persona, e a fiorire, sviluppando indipendenza. Nei suoi scritti copre la preparazione fisica dell’adulto e la necessità che l’insegnante abbia una profonda conoscenza dei piani di sviluppo del bambino.Ma c’è un altro aspetto fondamentale che Maria Montessori evidenzia nei suoi libri, ed è la preparazione psicologica dell’adulto. Lei osservò e fu convinta che l’educatore non può formarsi al suo ruolo solo studiando, deve invece “coltivare in se stesso certe attitudini di ordine morale”.  (M. Montessori, The Secret of Childhood, p. 107).
Mi sembra che questa frase da sola rappresenti una vera novità nel contesto delle teorie educative, una novità che è ancora più reale al giorno d’oggi, a quasi 100 anni dall’inizio dei suoi studi.

Questo argomento mi ha molto messo alla prova sia come mamma, che come adulto che vede, interagisce e ha che fare con molti bambini.

La preparazione psicologica e interiore a cui la Montessori fa riferimento comprende la necessità per noi adulti di scoprire e correggere i nostri difetti per poter affrontare il bambino con un cuore puro e uno sguardo nuovo. Questo non vuol dire che dobbiamo diventare perfetti, ma maturare la consapevolezza delle nostre debolezze e non lasciare che queste si frappongano nella relazione tra noi e il bambino.

I due più grandi difetti che gli adulti devono cercare di correggere sono la rabbia e l’orgoglio: se diventiamo onesti e umili con i bambini, allora saremo capaci di vedere il loro vero spirito. La nostra relazione con loro deve essere basata sul rispetto, sulla fiducia e sulla collaborazione. Dovremmo avere fede che i bambini hanno in loro stessi tutti gli strumenti per crescere e fiorire, dovremmo essere capaci di immaginare sempre “il lieto fine” di un bambino, la sua naturale evoluzione positiva. Gli adulti spesso pensano di poter plasmare i bambini e invece rischiano “inconsapevolmente di ostacolare o deviare il loro sviluppo naturale” (M.Montessori, The Secret of Childhood, part II, chapter 1).

Una predisposizione positiva nei confronti dei bambini comprende il non etichettarli, trattarli sempre con rispetto, non parlare mai di loro in loro presenza come se non ci fossero. Vuole anche dire fare tutto quello che possiamo per far diventare il bambino autonomo e indipendente, per esempio lasciandolo completare una attività, o pensando due volte prima di intervenire (per poi scoprire spesso che  il nostro intervento non era nemmeno necessario).
Questo non significa lasciare che il bambino faccia quello che vuole, ma al contrario essere calmi e coerenti sulle questioni di base.
Dovremmo lasciare che i bambini esplorino le loro relazioni umane. “Se un insegnante è capace di soddisfare le necessità del gruppo di bambini  a lui affidato, allora vedrà realizzarsi tutte le qualità della vita sociale e potrà godere della gioia di osservare queste manifestazioni dello spirito del bambino”(M. Montessori, The Absorbent Mind, page 257.)
Con pazienza e flessibilità noi adulti possiamo davvero fare un passo indietro, darci il tempo di osservare i bambini, dar loro il tempo di finire quello che hanno iniziato e scoprire come è affascinante e irresistibile quando il lavoro di un bambino, risultato di un impluso interiore, è completato.

Tutto quello scritto sopra sembra difficilissimo e naturale e istintivo allo stesso tempo. Chi infatti non ama e rispetta i bambini?

Alla fine della lezione ho chiesto una domanda sull’AMORE, sul dimostrare affetto e attenzione. Mi era sembrato che questo aspetto, che io ritengo fondamentale nella relazione col bambino, potesse in qualche modo mancare nel approccio educativo montessoriano. Ho pensato per tutta la settimana alla risposta che mi è stata data, e sono arrivata alla conclusione che sì, magari la parola AMORE non compariva nei miei appunti, ma cosa vuol dire AMARE un bambino?

Non è forse la massima dimostrazione d’amore prendersi il tempo di conoscere una persona? Cercare i motivi per apprezzarla? Vedere il meglio che può dare? Avere fiducia? Non giudicare? Aiutarla ad esprimere la sua vera natura? Non volere cambiarla?

Penso che M.M. abbia sviluppato un approcio di cui la più pronfonda forma d’amore è sia la fonte che il risultato. Noi dimostriamo il nostro amore attraverso i comportamenti che ho elencato sopra, ma allo stesso tempo il bambino stesso è una sorgente d’amore.

Quando il bambino mostra all’insegnante la sua vera natura, lei capisce, forse per la prima volta davvero, cosa è l’amore. E questa rivelazione la trasforma. E’ qualcosa che tocca i cuori e che un poco alla volta cambia le persone.(M. Montessori, The Absorbent Mind, p. 258).

Un po’ di storia: La scuola Assistenti all’infanzia e il Centro Nascita Montessori (ovvero: di come i montessoriani sono sempre avanti…)

La straordinaria capacità di visione di Maria Montessori e l’incredibile a estensione della sua prassi formativa trovano un’ulteriore conferma nella storia, assai poco conosciuta, della scuola Assistenti all’infanzia e del Centro Nascita Montessori.costa_gn

Nel 1947, Adele Costa Gnocchi istituì la scuola assistenti all’infanzia Montessori, da cui derivò, nel 1961, il Centro Nascita Montessori, fondato per studiare i problemi di gravidanza e puerperio e offrire alle donne l’aiuto delle assistenti all’Infanzia. Costa Gnocchi, allieva di lungo corso della Montessori, aveva avviato nel 1927 una piccola casa dei bambini a Roma, a partire dalla quale si sviluppò il corso dedicato alla fascia d’età 0-3 “per formare giovani donne capaci di rispondere alle esigenze dei neonati e dei bambini nei loro primi tre anni di vita e in grado di sostenere, a domicilio, i neo-genitori alle prese con neonati accompagnandoli nella lettura dei loro bisogni”. Costa Gnocchi aveva elaborato il programma della scuola a partire dal testo della Montessori “Il bambino in famiglia”, tutto basato sull’idea, rivoluzionaria per l’epoca, di ascolto e rispetto anche per il neonato. Anche la scuola per assistenti all’infanzia era all’avanguardia, attenta a non scindere “l’aspetto culturale da quello professionale”, e integrando l’accurata preparazione teorica con “esercitazioni pratiche sul campo” e tirocini lunghi e impegnativi. Il numero ristretto di allieve consentiva la creazione di rapporti stretti fra allieve e insegnanti. Il corso durava sei mesi, da gennaio a giugno; ogni giorno la mattina era dedicata ai tirocini, (con ulteriori tre mesi durante l’autunno). Le lezioni di Adele Costa Gnocchi “erano come prediche per iniziati”. Ricche di spunti e riferimenti all’opera montessoriana, che spesso, se non sempre, le sue allieve non conoscevano, esse riuscivano tuttavia a far passare contenuti culturali forti, che rendevano la formazione offerta dalla scuola AIM completa e stimolante.
Le allieve erano tenute a lunghi tirocini di osservazione presso il Brefotrofio e il Policlinico romano, anche in sala parto. Anche in questo la loro azione pioneristica è sorprendente; le “montessorine” di allora, come erano conosciute, ricordano da vicino la figura della doula, una figura non sanitaria di sostegno alle madri e ai neonati che si va affermando negli ultimi anni. Costa Gnocchi, insieme alla ginecologa Alessandra Scassellati, cercò di realizzare un parto rispettoso per madre e bambino, con vent’anni di anticipo rispetto a Leboyer.(citazioni tratte da De Pra Cavalieri, Lia. Alcune testimonianze “Quaderno Montessori”, vol.16 (autunno 1999), n. 63, p. 13-37)
La scuola, inizialmente privata, divenne statale alla fine degli anni Sessanta, aprendo sezioni anche in altre regioni italiane. Tuttavia, solo a Roma essa mantenne la sua impostazione montessoriana finché, nel 1994, tutte le sedi della scuola furono trasformate in “Istituti per Operatori sociali”. Quando la Scuola Assistenti all’infanzia Montessori fu statalizzata, abbassando l’età di ammissione da 18 a 14 anni, Costa Gnocchi volle trasferire le esperienze maturate in una nuova organizzazione che non abbandonasse la ricerca sul campo (diceva: “Ogni bambino è un unicum, non ci sono regole buone per tutti, bisogna continuare a osservare, a studiare”). Per questo fondò il Centro Nascita Montessori. La prima direttrice del centro, Elena Gianini Belotti, riversò l’esperienza acquisita nella creazione del primo Asilo Nido di Roma non a carattere assistenziale: il Nido dell’ENEL del 1972 e dal 1976 nei tre Nidi della Banca d’Italia.Oggi il Centro (http://www.centronascitamontessori.it/) si occupa di ricerca e di formazione, mantenendo il pensiero di Maria Montessori, e l’amore e il rispetto per i bambini che la sua opera ci insegna, al centro del proprio operato.

Uno sguardo su altri due incontri della nostra rassegna (Sonia Coluccelli e Mario Bolognese)

Un’altra scuola è possibile?

sonia

Il 23 maggio Sonia Coluccelli, maestra, mamma e formatrice ci ha presentato varie esperienze di pedagogia in Italia, partendo dalla sua presa di coscienza della necessità di un’altra scuola.
Si è parlato di un rinato interesse per una scuola che, anzichè omologare gli alunni su standard e programmi predefiniti, stimoli la creatività, valorizzi la diversità e metta il bambino al centro del processo educativo. E di come invece le nuove riforme della scuola statale parlino solo di cambiare la struttura organizzativa senza mai citare i bambini o il metodo di insegnamento.
Sonia ha insistito sull’importanza della comunicazione tra scuola e famiglia, e di come sarebbe importante che l’insegnante spiegasse il proprio approccio educativo alla famiglia per evitare incomprensioni e non entrare poi in conflitto. Sarebbe bello che ogni insegnante impostasse la comunicazione con i genitori spiegando il proprio metodo: un semplice “io faccio così perchè…” aprirebbe un dialogo sull’intenzionalità educativa ed eviterebbe che la forbice scuola-famiglia si apra sempre di più. Spesso, infatti, il tentativo della famiglia di entrare nella scuola è visto come un’invasione di campo, o un voler giudicare il lavoro dell’insegnante, mentre una sana comunicazione tra i due nuclei fondamentali dell’educazione stabilirebbe un equilibrio a vantaggio dei bambini.
Oltre alla proposta Montessori, che sta conoscendo una forte rinascita anche in molte scuole pubbliche in Italia, ci sono esperienze come Senza zaino, partita in scuole pubbliche toscane ed ormai diffusa in tutt’Italia (www.senzazaino.it), alcune scuole libertarie, le più conosciute Steiner e la possibilità dell’homeschooling. Riguardo alle questioni legali, la costituzione afferma che i genitori devono assicurare l’istruzione dei figli ma non si parla di obbligo scolastico; sono invece previsti degli esami da sostenere per poi ottenere il titolo.
Ci si è chiesto infine se vivere queste esperienze porti poi i bambini ad avere difficoltà di inserimento nella scuola tradizionale, e se certamente faranno fatica ad adattarsi a metodi completamente diversi, il bagaglio che si porteranno dietro li aiuterà certo a pensare con la loro testa.
(Un’altra scuola è possibile?, Sonia Coluccelli, Il Leone Verde, 2015)

Disegno, poesia, fiabe e benessere

Mario_Bolognese
L’incontro con Mario Bolognese. il 5 giugno, è stato molto più filosofico ed “esperienziale”, ci ha fatto tornare bambini e dimenticare per qualche ora gli impegni e le preoccupazioni che normalmente occupano la nostra mente: abbiamo disegnato, sentito, immaginato… tutte cose che crescendo abbandoniamo in favore della razionalità e dell’organizzazione.
Attraverso il disegno Mario ci ha portato a sperimentare come le emozioni non siano astratte bensì siano dei paesaggi, e come il disegno sia uno strumento per recuperare il contatto con l’universo.
La cultura patriarcale ha messo in un secondo piano i sensi intimi (tatto, gusto, olfatto) che ci collegano ad esso de ha identificato le emozioni con la debolezza. La poesia è spesso la connessione tra il dentro (nella pancia) e il fuori (astrazione), appartiene alla vita e non è qualcosa di intellettuale. Con questi strumenti possiamo tornare nel mondo dei bambini dove si vedono e sentono cose che noi adulti non sentiamo.
La fiaba ha un legame strettissimo con animali, natura e cosmo e con simboli che abbiamo interiorizzato da millenni, gli archetipi, che toccano corde che non fanno riferimento alla razionalità o alla memoria personale. Per questo le fiabe sono momenti di rottura dell’individualità, (a differenza delle favole, ideate da qualcuno e con una morale) sono legate al mondo onirico e traducono le immagini in concetti. Questi simboli sono immagini aperte che fanno sognare, al contrario dei segni che sono invece immagini che vogliono farci pensare a qualcosa in concreto. (Donne che corrono con i lupi, C.Pinkola Estés, 1992)
Abbiamo anche affrontato gli stereotipi che spesso vengono presentati del principe azzurro/principessa e di come invece si possa rafforzare il propio genere senza offrire un modello televisivo. Mario ha insistito anche sull’importanza del lessico parlando sempre di bambine e bambini, spesso dimenticate (Dalla parte delle bambine, E.Gianini Belotti, 1973), e di ridare dignità ad un’altra grande dimenticata che è la notte: ha parlato di una pedagogia troppo diurna e della necessità di un’educazione del regime notturno, presentando la notte come bella e amorosa e non come qualcosa di cui avere paura.
Per raccontare storie ai bambini ci ha consigliato di inventare in base alle emozioni del momento (che i più piccoli colgono al volo) o di attingere al patrimonio di fiabe magari trasformandoci in protagonisti e di non dimenticare i racconti dei nostri antenati.

(Valeria)

Educazione cosmica: il Metodo che non è un metodo alla scuola primaria

DSCN3187 Sabato 16 maggio abbiamo avuto il piacere di conoscere Daniel Motta, insegnante Montessori a Bressanone, formato AMI, che dopo averci introdotto alle meraviglie della matematica montessoriana ci ha raccontato un po’ del suo lavoro a scuola, illuminandoci sul concetto di “educazione cosmica”, pilastro della proposta educativa Montessori per la fascia d’erà 6-12, purtroppo troppo spesso malcompreso o male interpretato. L’educazione cosmica non è l’insieme delle scienze, nè una parte del curriculum montessoriano ma il Metodo stesso quando applicato ai bambini più grandi. Per chi non ha potuto partecipare a quest’evento, vorrei riportare almeno qualche appunto su tutti gli affascinanti spunti offerti (le meravigliose foto dell’ambiente preparato e dei lavori dei bambini hanno potuto godersele solo i presenti!). Inannzitutto è importante ricordare come Maria Montessori abbia individuato delle caratteristiche ben diverse nei bambini dai 6 anni in su rispetto ai più piccoli. Questi bambini sono curiosi, desiderosi di sapere, amanti del lavoro; s’interrogano sulle cause delle cose; hanno tre sensitività che si portano dietro per tutto questo periodo: morale, culturale e dell’immaginazione. Essi, inoltre, amano i grandi lavori e i lavori in gruppo; imparano tramite l’esperienza, l’esplorazione, i sensi e l’immaginazione e desiderano capire come funziona la società. 4piani Per questo nella scuola primaria l’ambiente preparato cambia. Oltre al materiale, l’apprendimento abbisogna delle favole cosmiche, con relativi cartelloni ed esperimenti, di ricche nomenclature classificate, di frequenti uscite, di libri e modellini, dell’apporto di esperti. Ai bambini vanno date le chiavi che permettano, in chi viene risvegliato un interesse, di andare avanti da solo. L’insegnante deve essere l’anello di collegamento non più fra il bambino e l’ambiente, ma fra il bambino e l’universo, seminare quanti più semi possibile per rispondere alla grande fame di cultura dei bambini. Deve infiammare la loro immaginazione, riuscendo a far collegare tutte le branche dello scibile umano. Deve osservare i bambini e riconoscerne i talenti, incoraggiarne il potenziale, senza fornire risposte ma aiutando ognuno di loro a trovare una via. In effetti il celeberrimo “aiutami a fare da solo” si trasforma nel secondo piano di sviluppo in “aiutami a pensare da solo”. maria e mario Il curriculo montessoriano per la scuola primaria fu sviluppato durante il lungo soggiorno in India di Maria e Mario Montessori, per venire poi arricchito e perfezionato da quest’ultimo, con la collaborazione di Camillo Grazzini, soprattutto nel centro AMI di Bergamo (http://www.montessoribergamo.it/). La ricchezza dell’offerta formativa (che spazia dalla geografia alla botanica, dall’aritmetica alla musica, presentando concetti che a volte nelle scuole tradizionali s’incontrano solo alle msuperiori) è tesa ad abituare i bambini a pensare in grande, a sviluppare una visione globale del mondo, una grande consapevolezza unita a un forte senso di gratitudine. In questo senso anche la grande importanza della storia, non intesa come sfilza di date e battaglie ma come un capire il perchè determinate idee si sono sviluppate, e apprezzare il lavoro dei milioni di uomini e donne che sono venuti prima di noi, a volte famosi, spesso anonomi, ma che hanno permesso lo sviluppo delle conoscenze e delle tecniche di cui godiamo oggi. Anche per la scuola primaria la proposta montessoriana è straordinaria e di incredibile attualità. Riflettiamo però sul fatto che, dei tantissimi scritti di Maria Montessori, solo tre sono dedicati specificamente a questa fascia d’età (“L’autoeducazione”, “Come educare il potenziale umano” e “Dall’infanzia all’adolescenza”). Le altre opere, spesso, si riferiscono alla Casa dei bambini, e questo può portare a una certa confusione. A questo si aggiunga che Mario ha lasciato pochissimo scritto, e ci ritroviamo con troppa confusione e interpretazioni scorrette della proposta montessoriana. Una proposta pedagogica seria non può che partire da un’osservazione scientifica dei bambini e dei loro bisogni. Solo così contribuiremo a creare persone responsabili, creative e felici. (Ringraziamo Daniel Motta e tutti i presenti, genitori, insegnanti, curiosi. Continuiamo, insieme, non solo a sognare la scuola che vorremmo per i nostri bambini, ma anche ad agire perchè si concretizzi).

Il metodo che non è un metodo: Montessori in pochi punti (seguendo Stoll Lillard)

Guardando al pensiero della Montessori in modo globale, è possibile estrapolare alcuni punti principali che ne diano un’idea più precisa, seguendo per esempio il recente lavoro di Angeline Stoll Lillard, che ha lavorato nella direzione di dare una verifica sperimentale, scientifica nel senso corrente del termine, alle intuizioni della studiosa italiana (Montessori: The Science Behind the Genius. Oxford University Press, Oxford 2008).

Lillard-Montessori-Science-Genius

Sebbene la Dottoressa insistesse molto sul carattere scientifico delle suo scoperte, ai nostri occhi appare evidente come ella traesse “conclusioni da esperienze non sistematiche che generalizza ad un modello educativo per lei valido universalmente” (Renato Foschi). Tuttavia, al di là delle generalizzazioni, delle imprecisioni, del linguaggio spesso misticheggiante, è sorprendente quanto le verifiche sperimentali contemporanee, queste sì scientifiche, finiscano per provare corrette le intuizioni della Montessori.

Stoll Lillard, professore di psicologia presso l’Università della Virginia, ha intrapreso esattamente questo lavoro, di cui peraltro la stessa Montessori aveva lamentato la mancanza, quando sottolineava come, nel pur folto insieme di seguaci, nessuno avesse continuato a studiare per verificare le sue intuizioni. Lillard, in un lavoro che ha conosciuto un vastissimo successo, ha estrapolato otto principi fondamentali dell’educazione Montessori, sottoponendoli a verifiche sperimentali che ne hanno confermato la validità. Questi principi sono:

1) Movimento e apprendimento sono strettamente collegati; il movimento può migliorare la capacità di pensare e imparare;
2) L’apprendimento e il benessere sono facilitati quando le persone hanno il senso di poter controllare le proprie vite;
3) S’impara meglio quando si è interessati a quanto si sta imparando;
4) Offrire riconoscimenti estrinseci per un’attività, come premi o voti alti, ha un impatto negativo sulla motivazione a intraprendere tale attività quando il premio sia assente;
5) La collaborazione con i compagni può essere di grande aiuto all’apprendimento;
6) L’apprendimento in contesti significativi spesso risulta più ricco e profondo dell’apprendimento in contesti astratti;
7) Specifiche modalità di comportamento degli adulti sono associate a risultati migliori nei bambini;
8) I bambini prosperano in un ambiente ordinato.

Questi principi stanno alla base del concetto di scuola montessoriana; volendo riassumerne i tratti fondamentali in termini più coerenti con il linguaggio della Dottoressa, potremmo dire che, una volta raggiunto lo stato di “normalizzazione”, il bambino dev’essere lasciato libero di scegliere un’attività e di svolgerla fino a che non ne sia soddisfatto, all’interno di un ambiente ordinato e dotato di materiali di sviluppo che permettano il controllo dell’errore, che siano presenti in numero limitato e in un solo esemplare, e che vengano mano a mano sostituiti con nuovi materiali che rispondano agli interessi e ai bisogni dei bambini. Il ruolo dell’insegnante è quello di tramite fra il bambino e l’ambiente; i suoi compiti, quello di mantenere l’ordine, osservare i bambini, offrire brevi lezioni individuali di presentazione del materiale, sincerarsi che tutto sia in buone condizioni e che sia garantita la corretta progressione nell’uso dei materiali. Il docente non deve fare lezione, ma “dirigere” una sorta di autoeducazione, (in effetti, inizialmente Montessori aveva proposto il titolo di “direttrice” per le sue maestre) facendo da tramite fra il bambino e l’ambiente e permettendo il naturale dispiegarsi delle potenzialità del bambino, che in un contesto adatto lo porteranno a una vera e propria trasformazione o, in termini montessoriani, normalizzazione. La disciplina allora scaturirà naturalmente nella classe, anche grazie all’assenza di premi o punizioni, che portando una motivazione estrinseca all’azione infantile di fatto ne impediscono il corretto svolgimento.

Un po’ arido questo riassunto? Spero di no. Il libro della Stoll Lillard è davvero interessante, e ha ottenuto un grande successo. Come vi sembrano questi otto principi? Danno una buona idea della filosofia montessoriana?

La libertà (e l’ambiente preparato)

classe
Il sistema di pensiero di Maria Montessori costituisce nel suo insieme un universo affascinante e vasto, in cui ogni elemento nasconde un oceano di possibili approfondimenti e di collegamenti con gli altri elementi del sistema. Questo “sistema” Montessori si basa su diversi elementi interconnessi, e a volte apparentemente in contraddizione l’uno con l’altro: l’importanza della libertà e la necessità pedagogica dell’ordine; il valore dell’autonomia e la crucialità della presenza dell’adulto; la rilevanza dell’individuale, creativo sviluppo e la rigidità di alcune prescrizioni didattiche. Questi paradossi non corrispondono a debolezze teoriche, ma definiscono la vitalità dell’approccio montessoriano.
maria_montessori_1
La libertà, in partcolare, è un cardine del pensiero montessoriano, di cui è difficile se non impossibile parlare senza collegarsi ad altri concetti. Inoltre, leggendo le parole di Maria Montessori spesso ci si imbatte in momenti apparentemente contraddittori; a volte sembra si parli di una libertà assoluta, altre di una disciplina quasi soffocante. Non a caso, diverse interpretazioni parziali del pensiero della Montessori hanno potuto dar vita ad esperimenti educativi agli antipodi, quasi anarchici o eccessivamente rigidi. Di nuovo, siamo di fronte a un processo dialettico, mai del tutto risolto, fra libertà e disciplina, spontaneità e ordine. D’altronde non ci può essere libertà vera senza disciplina. Tutta l’opera della Montessori è attraversata dal gioco dialettico fra questi due elementi; per questo è stato possibile che essa sia potuta piacere, seppur brevemente, al regime fascista, e al contempo venire bruciata dai nazisti, caso unico nel panorama pedagogico. “Salvo che la Montessori l’affronta senza filisteismo e con la più grande, autentica e coraggiosa disponibilità verso i diritti e l’autocostruirsi del bambino, non però disgiunta da saggezza” (Giacomo Cives).

Un elemento cruciale per comprendere il ruolo della libertà nell’universo montessoriano è l’ambiente. Non è possibile far fiorire la libertà del bambino al di fuori di un ambiente pensato appositamente per lui. La libertà montessoriana non nasce da pure esigenze didattiche, ma da imprescindibili bisogni vitali; essa può esprimersi solo in determinate condizioni: in un ambiente pensato, creato, curato, a misura non di un bambino ideale, ma precisamente del bambino che abbiamo davanti.
MariaMontessori
Dopo la fase della normalizzazione, dal disordine emerge un ordine, in cui finalmente il bambino può godere della libertà che gli è necessaria al suo giusto sviluppo. Ricordandosi che non tutti i bambini arriveranno a questa fase contemporaneamente, e il delicatissimo ruolo dell’insegnante deve svolgersi con grande sensibilità, poiché molto diverso è l’approccio al bambino prima e dopo la normalizzazione. E quando tutti avranno sentito il richiamo di questa forza interiore, finalmente libera di esprimersi, nella classe “il bambino diviene calmo, radiosamente felice, occupato, dimentico di sé e di conseguenza indifferente ai premi o a ricompense materiali. Questi piccoli conquistatori di se stessi e del mondo che li circonda sono di fatto dei superuomini, i quali rivelano a noi la divina anima che è nell’uomo” (M. Montessori, Il segreto dell’infanzia). A volte la libertà dei bambini può estrinsecarsi in atti apparentemente “strani”, come le ripetizioni quasi infinite dello stesso esercizio- così i bambini rivelano un tratto spesso dimenticato, la loro incredibile capacità di concentrazione.

Perché questa possa emergere, sempre fondamentale è la qualità dell’ambiente, che deve essere sempre ordinato e attraente. L’insegnante deve conoscere i bisogni dei bambini, e provvedere a essi nella preparazione dell’ambiente, allo stesso tempo rimuovendo “gli ostacoli che possono creare un impedimento sulla via della perfezione”. (M. Montessori, La mente del bambino). Per questo a volte la Montessori ha descritto il miglior segno della riuscita del lavoro dell’insegnante la sensazione di non essere più necessario. Il suo ruolo, seppure defilato, è invece complesso e fondamentale. Agendo da tramite fra il bambino e l’ambiente, egli deve conoscerlo intimamente, in particolare conoscere perfettamente tutto il materiale, per sapere come meglio rispondere alle esigenze in evoluzione costante dei bambini. Senza mai correggerne gli errori, ma piuttosto ripetendo la presentazione del materiale, che è anche un momento importantissimo nella relazione a due e, secondo Grazia Honegger Fresco, allieva di Maria Montessori, va studiata in ogni dettaglio. Questo lavoro presuppone una raffinata capacità di osservazione. Per poter permettere all’indole del bambino di dispiegarsi nella sua più autentica e profonda natura, per poter assistere al fiorire della sua autentica libertà, l’insegnante deve sapere, tramite osservazione sempre discreta e puntuale, esattamente a quale livello di sviluppo egli si trovi, per rimuovere gli ostacoli e proporre nuovi orizzonti. Secondo Montessori, l’insegnante “deve combinare scienza e arte: la scienza di conoscere la mente del bambino, e un metodo di educazione; e l’arte di riconoscere il grado di sviluppo in un bambino in un dato momento”, per questo, l’insegnante deve imparare “non a insegnare, ma piuttosto a osservare”. (Corso internazionale per insegnanti tenuto a Roma nel 1913).
laboratori libera-mente 6apr (18)

Nelle parole di Tiziana Pironi, la centralità dell’atteggiamento osservativo:

“implica un rovesciamento del rapporto maestro/allievo: è quest’ultimo che insegna e mostra come apprende. L’insegnante deve così apprendere la capacità di imparare a osservare, che lo porterà soprattutto a cambiare nei confronti di se stesso, esercitando un continuo controllo sulle proprie emozioni, stati d’animo, atteggiamenti. Si tratta, dunque, di un percorso autoriflessivo molto intenso e difficile, quasi un ‘noviziato’, che non può risolversi esclusivamente in una preparazione di tipo culturale”.

Dalla libertà, all’ambiente, all’osservazione, ai materiali… ogni cosa nel mondo Montessori ha un suo significato, e dialoga con le altre. Non dimentichiamo mai, però, il motore primo e l’obiettivo del nostro agire educativo: il bambino, proprio quello che abbiamo davanti, la liberazione del suo potenziale, la possibilità di essere la creatura meravigliosa che è. Libera, autonoma, sicura.

La vita di Maria Montessori- prima parte

Ci sono moltissimi argomenti sui quali da tempo medito di scrivere, ma stasera ho deciso di condividere qualche dato interessante e qualche pensiero sulla vita della nostra indiscussa eroina, Maria Montessori. Anche nella sua biografia la nostra si contraddistingue per scelte mai scontate, colpi di scena, decisioni eterodosse. Cominceremo con una panoramica dei primi passi della sua opera, dagli studi all’apertura della prima Casa dei bambini. Ecco allora alcune cosa che forse non sapete di Maria Montessori!

1) Tanto per cominciare, pur destinata a diventare una delle figure più importanti nel panorama pedagogico internazionale, Maria giunse piuttosto tardi al mondo dell’educazione, al temine di un viaggio accidentato, coraggioso e caratterizzato dall’alternarsi di esperienze apparentemente molto diverse tra loro. Per ironia della sorte, il cammino che porterà Maria Montessori alla pedagogia prende l’avvio dal netto rifiuto di un percorso di studi superiori finalizzato all’insegnamento. All’epoca, una delle poche vie percorribili per le ragazze che volevano accedere all’istruzione superiore era quella della formazione per divenire maestre. Di fronte a questa prospettiva, tuttavia, la giovane Maria Montessori oppose un netto rifiuto e ottenne di poter frequentare una scuola tecnica. E proprio questo simbolico iniziale rifiuto della pedagogia a lei contemporanea ha permesso a Maria Montessori di iniziare quel percorso di formazione eclettico e non convenzionale sul quale si fonderà il proprio originale metodo pedagogico.
mm giovane

2) Non fu la prima donna italiana a laurearsi in medicina, come a volte si legge. Ma inizialmente avrebbe voluto studiare ingegneria! Nata a Chiaravalle (An) nel 1870 da una famiglia di buona borghesia, trasferitasi a Roma nel 1875; bambina vivace, interessata inizialmente alla recitazione, già nella scelta degli studi superiori Maria si era distinta, decidendo di frequentare un istituto, il Leonardo da Vinci, prevalentemente maschile. Dopo la maturità tecnica, conseguita con una buona votazione, la decisione iniziale avrebbe portato Montessori a studiare ingegneria, ramo quasi inedito per le donne dell’epoca. Tuttavia, misteriosamente ella cambiò idea, scegliendo invece la facoltà di medicina. Non che questa fosse una carriera più facile per una donna, allora. Anzi, sebbene l’indicazione frequentemente riportata che vorrebbe la Montessori prima donna medico del regno d’Italia non sia corretta, comunque prima di lei le donne laureate non erano state molte, e nel suo corso lei era effettivamente l’unica donna. Come ci ricorda Grazia Honegger Fresco, “Fino al 1896, anno di laurea della Montessori, le laureate in Italia in vari settori furono in tutto sedici contro migliaia di uomini”. L’esordio della Montessori agli studi universitari non fu semplice, e Maria dovette battersi anche per ottenere di potersi iscrivere a Medicina. E una volta ammessa, pur potendo assistere alle lezioni di importanti personalità che avranno un’influenza importante sullo sviluppo del suo pensiero, la giovane Maria dovette confrontarsi con un ambiente estremamente ostile. Non doveva essere facile entrare per ultima a ogni lezione, (era considerato sconveniente che, in quanto donna, entrasse in un’aula prima che tutti gli altri studenti fossero seduti) restare sempre isolata, dover continuamente combattere contro i pregiudizi di professori e colleghi studenti. L’impatto con l’anatomia si rivelò particolarmente difficile e impegnativo. In una lettera del 1896, la Montessori ripercorre con dovizia di dettagli gli sforzi che le erano richiesti per confrontarsi con i corpi nudi dei cadaveri da studiare. Per una donna, le convenienze sociali e l’educazione ricevuta rendevano l’impresa quasi impossibile. Maria combatté la sua repulsione, pagando un uomo perché fumasse mentre lei sezionava i cadaveri. Superò tutti gli ostacoli, e ottenne premi, onori, riconoscimenti.
Prima della laurea, la Montessori cominciò a frequentare le lezioni di clinica psichiatrica di Clodomiro Bonfigli, altro docente destinato ad esercitare una grande influenza su di lei. In quell’anno l’intero corso di Clinica Psichiatrica fu dedicato dal Bonfigli, particolarmente interessato al problema dei bambini “deficienti”, al rapporto tra educazione infantile e malattia mentale; veniva ribadita l’importanza, per i bambini, di ricevere una congrua educazione che permettesse un “sano” sviluppo del carattere e del senso morale. “Finalmente una Medicina che, più vicina all’ideale che andava maturando sempre più la giovane Montessori, si occupava non solo del corpo, ma ‘andava verso’ la persona proponendosi come una delle possibili risposte non solo contro le malattie, ma anche per contrastare la miseria e la povertà che ancora interessavano larghe masse del Regno d’Italia.”

3) Riuscì a far passare brillantemente gli esami a bambini che prima di lei erano considerati “ineducabili”.
Dopo la laurea, Maria cominciò ad esercitare la professione di medico, distinguendosi per la sua passione e attenzione per i pazienti, ma cominciando a conquistarsi anche una certa fama per il grande impegno che profondeva nel diffondere e difendere le proprie idee sul femminismo, la questione sociale, e la necessità di promuovere l’educazione dei bambini allora definiti “deficienti” o “frenastenici”, considerati ineducabili, spesso abbandonati dalle famiglie e dimenticati per sempre nei manicomi. Fu proprio l’incontro con questi bambini, rinchiusi nell’ospedale psichiatrico di Roma, una delle radici della “scoperta del bambino” che avrebbe cambiato per sempre la vita di Maria, e la storia della pedagogia. È molto noto l’episodio narrato da Anna Maria Maccheroni, una delle più fedeli allieve della Dottoressa: i piccoli erano definiti dalla loro sorvegliante “sudici e golosi”, giacché si gettavano a terra per raccogliere le briciole cadute appena finito di mangiare. Montessori si sarebbe avveduta come nella stanza non ci fosse null’altro per poter utilizzare le mani. L’affollarsi dei bambini sulle briciole, dunque, non andava interpretato come segno di sciatteria, ma come grido di aiuto di quelle piccole intelligenze trascurate.
montessori insegnante
A fine dicembre 1899, una cinquantina di bambini furono trasferiti dal manicomio al nuovo istituto di via dei Volsci, dove Montessori cominciò le sue sperimentazioni, lavorando con loro anche 11 ore al giorno, coadiuvata dal materiale di Séguin, che aveva studiato in prima persona in Francia, e dai materiali che stava ideando e facendosi costruire. Dal 1899 al 1901 Montessori avrebbe passato ogni momento libero con i bambini. Alcuni di essi riuscirono a superare gli esami di licenza elementare con risultati migliori dei bambini “normali”.

4) Ebbe una sola storia d’amore, finita male, da cui nacque un figlio…
C’è però un’altra spinta profonda dietro alla “scoperta del bambino”: la nascita e l’abbandono del figlio Mario, nato nel 1898 dalla relazione con il collega Mario Montesano, la sola di cui si abbia notizia nella vita di Maria Montessori. Cresciuto da una balia e poi in collegio, Mario non vide la madre che occasionalmente fino al 1913, quando ella lo prese con sé. Da allora i due avrebbero vissuto sempre a stretto contatto, e Mario Montessori si sarebbe rivelato il più stretto e fedele collaboratore della madre. (Fu nel 1950 che un decreto dell’allora Presidente della Repubblica De Nicola lo autorizzò ad utilizzare anche il cognome della madre, che però, fino alla morte, lo avrebbe sempre presentato come un nipote). Della gravidanza, del parto, della rottura con Montesano, della scelta di separarsi dal figlio non sappiamo assolutamente nulla. Possiamo immaginare che la scelta di tenerlo nascosto fosse l’unica compatibile con il desiderio di continuare il proprio percorso professionale, e possiamo solo immaginare l’enorme dolore di questa maternità negata, che nel 1901 portò Maria Montessori ad abbandonare le sue cariche e la professione della medicina per iscriversi nuovamente all’università.

5) Dopo un’inizio di carriera folgorante, lasciò tutto e si iscrisse di nuovo all’Università.
Trentenne, celebre, affermata, Montessori ricominciò a studiare. “Fu il suo primo vero progetto educativo- l’educazione di se stessa”, secondo Rita Kramer, la più esauriente biografa della Dottoressa. Studiò Filosofia, visitò numerose scuole elementari. Visse una crisi profonda, che la spinse ad avvicinarsi alla teosofia, ma anche a ritirarsi per un periodo di meditazione presso un convento.
mariaemario
Da questi anni silenziosi, di studio Maria uscì con la convinzione che quanto scoperto nell’educazione dei bambini nei manicomi poteva con successo essere applicato anche ai bambini “normali”. La sua grande occasione arrivò grazie all’imprenditore Edoardo Talamo, direttore dell’Istituto romano dei Beni Stabili, che varò un progetto di riammodernamento di case popolari nel quartiere di San Lorenzo.

6) La prima Casa dei bambini fu il risultato di una serie di coincidenze fortunate.
Il 6 gennaio 1907 fu inaugurata quella che, su suggerimento della giornalista Olga Lodi, si sarebbe chiamata “casa dei bambini”. Montessori avrebbe usato questo spazio, una stanza unica, piuttosto grande, arredata con mobilio fatto costruire appositamente, leggero e a misura di bambino, in cui si trovavano i materiali costruiti sino ad allora, come un laboratorio. Pur senza averne precedente esperienza, Montessori riuscì a creare un ambiente ideale per bambini piccoli, perfetto per osservarne le reazioni spontanee. La maestra, Candida Nuccitelli, pare fosse la figlia del custode del caseggiato e aveva, più che altro, il compito di osservare i bambini. A lei, come alle altre che l’avrebbero seguita, venivano impartite poche, ferme istruzioni, decisamente diverse da quanto ci si aspettava, allora come oggi, da una maestra: intervenire solo in seguito a un’osservazione attenta, non disturbare il bambino intento, non punirlo né premiarlo. Presto la maestra riferì a Montessori, inizialmente incredula, che i bambini lavoravano da soli. L’esperimento fu un grande successo, e in breve tempo fu aperta un’altra casa a San Lorenzo, poi, nel 1908, sotto gli auspici dell’Umanitaria la prima di Milano (gestita da Anna Maria Maccheroni) e nel 1909 la quarta, quella di via Giusti a Roma, presso le suore francescane, che ospitava gli orfani del terremoto di Messina. Nell’ambiente accuratamente preparato delle case dei bambini, Montessori scoprì bambini molto diversi da come venivano solitamente dipinti; per nulla capricciosi, essi si rivelarono attenti, scrupolosi, capaci di un livello di concentrazione inaspettato. Lei definisce questo processo “normalizzazione”: sotto al suo impulso i bambini cominciarono persino a leggere e a scrivere, spontaneamente, grazie al lavoro fatto in autonomia con gli alfabetari mobili e le lettere smerigliate.
Fu proprio quest’esplosione della lettura e scrittura, spontanea, intorno ai quattro anni, ad assicurare l’immenso interesse del pubblico e della stampa per l’esperimento montessoriano. Già in quei primi anni si assisteva alla nascita di un vero e proprio movimento montessoriano, che da San Lorenzo avrebbe presto cominciato a diffondersi nel mondo. I suoi pilastri erano il rispetto del lavoro individuale, l’ambiente maestro, accuratamente preparato, la riduzione dell’intervento dell’adulto, l’uso di materiale che consentisse l’autocorrezione degli errori, la collaborazione fra bambini di età diversa, l’importanza dell’educazione sensoriale e degli esercizi di vita pratica. Nel 1909 Montessori si ritirò a Città di Castello, presso i baroni Franchetti, grandi sostenitori della sua opera, dove scrisse il suo Metodo e tenne il primo corso Montessori per insegnanti.

sanlorenzo
Nella foto, un’immagine della prima Casa dei bambini. Nella prossima puntata, il successo planetario, i rapporti con cattolicesimo e fascismo, i viaggi…

La normalizzazione

Una parola non tanto eufonica, “normalizzazione”, ci descrive un momento chiave in una classe Montessori. Prima di poter godere della loro libertà, possibile grazie all’accurata preparazione dell’ambiente, al ruolo discreto ma cruciale dell’insegnante, alla presenza dei materiali di autosviluppo, i bambini hanno bisogno di un iniziale periodo di adattamento, di apprendimento dello spazio e dei tempi nuovi, di acquisizione di fiducia in se stessi, nell’ambiente, di conoscenza dell’adulto responsabile, che a volte è il primo dopo la mamma a prendersi cura di loro. In questa fase inziale, la classe e il lavoro che vi si svolge possono essere anche molto diversi da come diventeranno in seguito. Anche i bambini arrivano nella scuola Montessori diversi da come diventeranno, prima che sia avvenuto quel cruciale processo di normalizzazione che solo potrà rivelarne la vera natura. Solo in seguito, ci dice Maria Montessori, “l’educazione è possibile”. Prima, i bambini saranno disordinati, chiassosi, incapaci di concentrazione. In questa fase iniziale, anche l’insegnante agirà in maniera diversa, più attiva, interverrà direttamente, proteggendo così anche la concentrazione dei bambini mano a mano che essa si produce. Maria Montessori non diede mai indicazioni esplicite su come concretamente dovesse svolgersi il lavoro dell’insegnante con i bambini ancora non “normalizzati”. Troviamo diversi suggerimenti in diverse parti della sua opera.

via giusti

Nel corso internazionale di formazione tenuto a Londra nel 1946, ad esempio, si raccomanda di non “punire, rimproverare o ammonire quando poniamo fine a un cattivo comportamento”, ma piuttosto di proporre al bambino “di andare a raccogliere fiori nel giardino, o offrire un gioco o qualsiasi occupazione che possa interessarlo”. Anche proporre piccole competizioni può funzionare, con la consapevolezza che in seguito lo spirito competitivo, in sé di ostacolo allo sviluppo, svanirà una volta conquistata la normalizzazione. Nel 1952, invece, ne La mente del bambino, menziona anche la possibilità di rimproverare o alzare la voce, anche se suggerisce, di preferenza, la possibilità di proporre attività collettive o esercizi preparatori “come riporre sedie e tavoli in silenzio, disporre una fila di sedie e sedervisi, correre da un capo all’altro della classe in punta dei piedi, piccoli esercizi di vita pratica”. In questa fase, in ogni caso, la maestra è chiamata a lodare o esortare il bambino. Ancora, ella potrà “valersi di poesie, rime, racconti”, ricordandosi che “una insegnante vivace attrae più di un’altra che non lo è e tutte possono essere vivaci se lo vogliono”. Un altro suggerimento è quello di prestare “un particolare e affettuoso interesse verso il bambino turbolento”. Sempre, però, va tenuto in mente l’avvertimento della Dottoressa: “Non temete di distruggere il male: soltanto il bene dobbiamo temere di distruggere”.

g1_u28942_a_maria_montessori_1

D’altronde, la riflessione pedagogica montessoriana si era avviata nel contesto dell’educazione dei bambini “ortofrenici”, di fronte ai quali il maestro doveva avere un ruolo decisamente attivo, quello del “suggestionatore”: “il maestro deve possedere un forte potere suggestivo, che potrà acquistare parzialmente con arte. Il maestro dovrebbe essere fisicamente bello, di imponente persona; dovrebbe avere una voce limpida, modulata; un potente sguardo, energico il gesto e espressiva la mimica del volto”. Un maestro, dunque, che deve saper comandare e farsi ubbidire. Nel corso del tempo, più che a un’evoluzione del pensiero montessoriano, assistiamo in effetti a un’oscillazione dinamica fra due poli, fra il maestro umile che lascia spazio alla potenza creatrice del bambino e l’insegnante autorevole, solo responsabile di quanto avviene nella sua aula. Ancora nel 1916, ne l’Autoeducazione, la figura magistrale viene esaltata in tutta la sua importanza, visto che è “il maestro che deve formare l’allievo: nelle sue mani sta lo sviluppo dell’intelligenza e la coltura dei bambini […] tutto è opera direttamente sua [… ] il creatore è il maestro”. Altri passaggi, precedenti e successivi, esaltano invece il potenziale autonomo di apprendimento del bambino. È necessaria una comprensione profonda dell’idea del bambino “scoperta” da Maria Montessori col suo lavoro, perché il maestro sia in grado di districarsi con successo fra quanto è necessario e il superfluo.

DSC00329

All’inizio, in ogni caso, il lavoro del maestro e del bambino saranno diversi. Ne La mente del bambino la Montessori si sofferma a lungo su questo passaggio, delineando con precisione i problemi cui si trova di fronte la maestra ancora inesperta, ma “piena di entusiasmo e di fede in questa interiore disciplina, che dovrebbe svilupparsi in una piccola comunità”.
Dobbiamo aver presente che il fenomeno della disciplina interiore è qualcosa che deve compiersi e non qualcosa di preesistente. Nostro compito è di guidare sulla via della disciplina […] Il felice compito dell’insegnante è di mostrare la via alla perfezione, provvedendo i mezzi e rimuovendo gli ostacoli, a cominciare da quello che essa stessa può opporre: perché l’insegnante può essere un grandissimo ostacolo. Se la disciplina fosse preesistente, il nostro lavoro non sarebbe necessario.
Una volta avvenuta la normalizzazione, libertà e disciplina andranno naturalmente a braccetto. A quel punto, saranno i bambini i protagonisti del lavoro in aula. Correggere e impartire insegnamenti, infatti, non è il ruolo dell’insegnante montessoriano, che deve avere chiaro il principio di non dover “insegnare concetti per mezzo dei materiali, né persuadere il bambino a usarli senza commettere errori, chiedendogli di finire ‘bene’ qualsiasi lavoro abbia intrapreso”. Il materiale non rappresenta “un ausilio didattico” ma piuttosto un mezzo per realizzare autonomamente il proprio sviluppo interiore. Con fiducia e amore, con pazienza e rispetto, il lavoro dell’insegnante e l’influenza dell’ambiente faranno sì che, a uno a uno, i bambini che si avvicinano per la prima volta ad un ambiente montessoriano si “normalizzeranno”. Solo allora sarà possibile assistere, come si assiste da più di un secolo, in tutto il mondo, al meraviglioso dispiegarsi di tutte le potenzialità di gentilezza, concentrazione, intelligenza presenti in ogni bambino. Ogni genitore lo sa, ma è stata Maria Montessori a rivelarlo al mondo. I nostri bambini sono creature splendide, e sta a noi la responsabilità di circondarli dell’ambiente giusto perché tutte le loro meravigliose qualità possano esprimersi al meglio.

DSCN1464