Montessori anche alle medie

Come può l’intelligenza di un individuo in fase di crescita continuare ad essere interessata, se tutto il nostro insegnamento concerne un argomento particolare o ha un obiettivo limitato…?” (Maria Montessori)

 

La rassegna “la scuola che vorrei” prende le mosse da uno dei capisaldi che hanno animato dal suo inizio l’operato dell’associazione Libera-Mente: la convinzione che l’educazione sia l’arena ineludibile per un’evoluzione positiva della nostra società e, insieme, che famiglia e scuola debbano essere alleate e complici nella costruzione concreta di un sistema educativo accogliente, profondamente egualitario, ricco.

Nell’ambito di questa rassegna abbiamo avuto modo di riflettere sui compiti a casa con Maurizio Parodi, abbiamo conosciuto più da vicino la proposta della scuola senza zaino con Marco Orsi, abbiamo incontrato la critica radicale di Paolo Mottana e trovato forti assonanze montessoriane con la sua proposta della città educante. Ognuno di questi incontri ha portato un nuovo tassello di un quadro complesso e multiforme, in cui il pensiero educativo di Maria Montessori ha potuto esprimere appieno la sua grande attualità, dialogando con idee e problematiche contemporanee.

Il 15 novembre sarà l’occasione di continuare questo percorso di riflessione, con l’incontro: Montessori nella scuola secondaria di primo grado: Il lavoro quotidiano in classe.

Maria Montessori ci ha lasciato, riguardo alla scuola per gli adolescenti, delle linee guida chiare ma un progetto molto meno definito di quelli per le età precedenti. Il suo obiettivo finale, quella che di fatto non è una scuola ma una comunità per adolescenti, ha avuto poche realizzazioni concrete, ma sempre più sono le scuole che lavorano per incorporare le sue idee educative, applicandole in realtà e contesti molto diversi fra loro. Recentemente, quattro istituti comprensivi di Milano hanno dato vita a una sperimentazione, in collaborazione con l’Opera Nazionale Montessori, che porta principi montessoriani nelle nostre scuole secondarie di primo grado.

Quest’incontro sarà l’occasione di conoscere due dei protagonisti di questa sperimentazione, che ci racconteranno i punti di forza, le difficoltà e le soluzioni ai problemi anche pratici incontrati durante il loro percorso.

Speriamo vivamente che quest’occasione di dialogo possa ispirare anche i docenti trentini a intraprendere delle sperimentazioni nelle nostre scuole, aprendo anche la proposta formativa rivolta agli adolescenti a quei principi di responsabilità, libertà, bellezza e pace che informano il pensiero montessoriano e che tanto hanno da dare alla nostra società.

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La libertà (e l’ambiente preparato)

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Il sistema di pensiero di Maria Montessori costituisce nel suo insieme un universo affascinante e vasto, in cui ogni elemento nasconde un oceano di possibili approfondimenti e di collegamenti con gli altri elementi del sistema. Questo “sistema” Montessori si basa su diversi elementi interconnessi, e a volte apparentemente in contraddizione l’uno con l’altro: l’importanza della libertà e la necessità pedagogica dell’ordine; il valore dell’autonomia e la crucialità della presenza dell’adulto; la rilevanza dell’individuale, creativo sviluppo e la rigidità di alcune prescrizioni didattiche. Questi paradossi non corrispondono a debolezze teoriche, ma definiscono la vitalità dell’approccio montessoriano.
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La libertà, in partcolare, è un cardine del pensiero montessoriano, di cui è difficile se non impossibile parlare senza collegarsi ad altri concetti. Inoltre, leggendo le parole di Maria Montessori spesso ci si imbatte in momenti apparentemente contraddittori; a volte sembra si parli di una libertà assoluta, altre di una disciplina quasi soffocante. Non a caso, diverse interpretazioni parziali del pensiero della Montessori hanno potuto dar vita ad esperimenti educativi agli antipodi, quasi anarchici o eccessivamente rigidi. Di nuovo, siamo di fronte a un processo dialettico, mai del tutto risolto, fra libertà e disciplina, spontaneità e ordine. D’altronde non ci può essere libertà vera senza disciplina. Tutta l’opera della Montessori è attraversata dal gioco dialettico fra questi due elementi; per questo è stato possibile che essa sia potuta piacere, seppur brevemente, al regime fascista, e al contempo venire bruciata dai nazisti, caso unico nel panorama pedagogico. “Salvo che la Montessori l’affronta senza filisteismo e con la più grande, autentica e coraggiosa disponibilità verso i diritti e l’autocostruirsi del bambino, non però disgiunta da saggezza” (Giacomo Cives).

Un elemento cruciale per comprendere il ruolo della libertà nell’universo montessoriano è l’ambiente. Non è possibile far fiorire la libertà del bambino al di fuori di un ambiente pensato appositamente per lui. La libertà montessoriana non nasce da pure esigenze didattiche, ma da imprescindibili bisogni vitali; essa può esprimersi solo in determinate condizioni: in un ambiente pensato, creato, curato, a misura non di un bambino ideale, ma precisamente del bambino che abbiamo davanti.
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Dopo la fase della normalizzazione, dal disordine emerge un ordine, in cui finalmente il bambino può godere della libertà che gli è necessaria al suo giusto sviluppo. Ricordandosi che non tutti i bambini arriveranno a questa fase contemporaneamente, e il delicatissimo ruolo dell’insegnante deve svolgersi con grande sensibilità, poiché molto diverso è l’approccio al bambino prima e dopo la normalizzazione. E quando tutti avranno sentito il richiamo di questa forza interiore, finalmente libera di esprimersi, nella classe “il bambino diviene calmo, radiosamente felice, occupato, dimentico di sé e di conseguenza indifferente ai premi o a ricompense materiali. Questi piccoli conquistatori di se stessi e del mondo che li circonda sono di fatto dei superuomini, i quali rivelano a noi la divina anima che è nell’uomo” (M. Montessori, Il segreto dell’infanzia). A volte la libertà dei bambini può estrinsecarsi in atti apparentemente “strani”, come le ripetizioni quasi infinite dello stesso esercizio- così i bambini rivelano un tratto spesso dimenticato, la loro incredibile capacità di concentrazione.

Perché questa possa emergere, sempre fondamentale è la qualità dell’ambiente, che deve essere sempre ordinato e attraente. L’insegnante deve conoscere i bisogni dei bambini, e provvedere a essi nella preparazione dell’ambiente, allo stesso tempo rimuovendo “gli ostacoli che possono creare un impedimento sulla via della perfezione”. (M. Montessori, La mente del bambino). Per questo a volte la Montessori ha descritto il miglior segno della riuscita del lavoro dell’insegnante la sensazione di non essere più necessario. Il suo ruolo, seppure defilato, è invece complesso e fondamentale. Agendo da tramite fra il bambino e l’ambiente, egli deve conoscerlo intimamente, in particolare conoscere perfettamente tutto il materiale, per sapere come meglio rispondere alle esigenze in evoluzione costante dei bambini. Senza mai correggerne gli errori, ma piuttosto ripetendo la presentazione del materiale, che è anche un momento importantissimo nella relazione a due e, secondo Grazia Honegger Fresco, allieva di Maria Montessori, va studiata in ogni dettaglio. Questo lavoro presuppone una raffinata capacità di osservazione. Per poter permettere all’indole del bambino di dispiegarsi nella sua più autentica e profonda natura, per poter assistere al fiorire della sua autentica libertà, l’insegnante deve sapere, tramite osservazione sempre discreta e puntuale, esattamente a quale livello di sviluppo egli si trovi, per rimuovere gli ostacoli e proporre nuovi orizzonti. Secondo Montessori, l’insegnante “deve combinare scienza e arte: la scienza di conoscere la mente del bambino, e un metodo di educazione; e l’arte di riconoscere il grado di sviluppo in un bambino in un dato momento”, per questo, l’insegnante deve imparare “non a insegnare, ma piuttosto a osservare”. (Corso internazionale per insegnanti tenuto a Roma nel 1913).
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Nelle parole di Tiziana Pironi, la centralità dell’atteggiamento osservativo:

“implica un rovesciamento del rapporto maestro/allievo: è quest’ultimo che insegna e mostra come apprende. L’insegnante deve così apprendere la capacità di imparare a osservare, che lo porterà soprattutto a cambiare nei confronti di se stesso, esercitando un continuo controllo sulle proprie emozioni, stati d’animo, atteggiamenti. Si tratta, dunque, di un percorso autoriflessivo molto intenso e difficile, quasi un ‘noviziato’, che non può risolversi esclusivamente in una preparazione di tipo culturale”.

Dalla libertà, all’ambiente, all’osservazione, ai materiali… ogni cosa nel mondo Montessori ha un suo significato, e dialoga con le altre. Non dimentichiamo mai, però, il motore primo e l’obiettivo del nostro agire educativo: il bambino, proprio quello che abbiamo davanti, la liberazione del suo potenziale, la possibilità di essere la creatura meravigliosa che è. Libera, autonoma, sicura.

Quattro attività natalizie da fare con i bimbi

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Natale è alle porte! Ecco qualche suggerimento di attività da fare insieme in questi lunghi, bui pomeriggi invernali (o al ritorno dalla montagna!). Perchè il tutto possa essere “montessoriano”, che sia fatto con le mani, impegni i 5 sensi, rispetti i tempi del bambino ma soprattutto: lasciamo che facciano da soli! Aiutandoli, osservandoli, ma senza intervenire se non è necessario. E pazienza se il risultato finale sarà diverso dalle nostre aspettative! Vi propongo quattro attività che mi piacciono, ma naturalmente l’elenco potrebbe essere molto più lungo!

1) casette di pan pepato. Da fare insieme, con pazienza ma anche tanto divertimento! Per le decorazioni, si trovano caramelle abbastanza sane o si possono fare con succhi di frutta e agar agar. Qui una buona ricetta per le casette: http://www.cavolettodibruxelles.it/2014/12/mini-gingerbreadhouse (in alternativa, anche i biscotti fanno tanta atmosfera natalizia, purchè profumati di cannella e cardamomo!)
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2) Alberelli di natale di carta. Su questo blog anche altre idee http://www.blogmemom.com/christmas-tree-craft

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3) fiocchi di neve di carta. Molto belli anche appesi sull’albero. Oppure si possono incollare su un foglio, colorare tutto con un pastello a cera nero e ottenere una nevicata su cielo notturno. http://www.lapappadolce.net/fiocchi-di-neve

4) biglietti di auguri! Magari preparando un vassoio con tutto l’occorrente come suggerito qui http://educationofours.blogspot.com.au/2011/12/christmas-cooking-crafts-and-sensorial.html
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Buone feste!!!

Di capricci, amore incondizionato e “mindfulness”

(Sì, aspettavate tutti con ansia e impazienza la seconda puntata sulla vita della nostra. Arriverà.)

Guardando le mie bambine, mi chiedo a volte se l’amore che provo per loro sia uguale. Ma come potrebbe esserlo? A parte le enormi differenze di carattere, preferenze, personalità, è davvero possibile amare allo stesso modo un neonato, un bambino ancora troppo piccolo per essere grande ma troppo grande per essere piccolo, e uno che potrebbe sembrare un adulto in miniatura, se non fosse assorbito in un mondo a volte totalmente strampalato? Al di là delle differenze fra di loro come persone, mi rendo conto che è diverso anche l’atteggiamento che ho io di fronte a loro, soprattutto nei momenti difficili.

La qualità di amore che riusciamo a provare per i neonati è speciale. Che ci tengano svegli tutta la notte, ci mordano ferocemente mentre li allattiamo, ci tirino i capelli, strillino ininterrottamente per ore: nulla sembra capace di suscitare rabbia in noi, innamorati della loro innocenza, della loro natura, della loro dipendenza da noi. A un certo punto, però, questa magia finisce. Arriva un momento in cui non riusciamo più ad accettare i bisogni dei nostri bambini, in cui sentiamo di dover cominciare a insegnare loro la disciplina e allora, da qualche parte dentro di noi, nasce la rabbia. I bambini, da parte loro, ci sfidano, cercando di capire cosa è consentito e cosa no, testando il terreno per capirne la solidità. Ed è davvero difficile restare sereni e centrati, c’è spesso in agguato un mostro che urla, vorrebbe punire, impazzisce all’idea di non riuscire a controllare le reazioni di quella creatura che improvvisamente non sembra più così innocente, ma che anzi pare volerci sfidare al solo fine di trovare i nostri limiti.

mind-full (immagine dal sito http://www.enthusiasticbuddhist.com)

Anche perché è dura cercare di dare le giuste attenzioni a diversi bambini, mentre la casa sembra aver appena esperito il passaggio di un uragano e qualcosa bisognerà pur fare per cena?! Davanti al pianto di un neonato tutto passa in secondo piano, ma quando quel neonato è cresciuto vogliamo (a volte anche giustamente) che le nostre esigenze tornino ad essere considerate.

Per me è molto difficile trovare quello stato di “mindfulness” , di connessione con la parte più profonda di me stessa che mi metta in condizione di stare nel momento presente, di connettermi con le mie bambine, di capire cosa è davvero importante e cosa può aspettare. Anche perché sono stata sfortunata, non ho frequentato una scuola Montessori dove l’avrei potuto imparare sin da piccola… Però voglio ricordarmi, stasera e ogni qual volta mi sarà possibile, di avere fiducia nella natura delle mie bambine. E quando continuano a fare qualcosa che per me è inaccettabile, sapere e capire che non sono loro, a dover cambiare, ma le condizioni esterne, l’ambiente e, tante volte, io. Sono io l’adulto, io la responsabile del clima che si respira nella mia casa.

Queste, credo, sono le due lezioni più importanti di Maria Montessori: la fiducia nel bambino e il dono prezioso della presenza, della concentrazione, della “mindfulness”, che cerchiamo di dare loro sin da piccoli in una scuola Montessori, ma che possiamo cercare di imparare anche noi adulti.

La vita di Maria Montessori- prima parte

Ci sono moltissimi argomenti sui quali da tempo medito di scrivere, ma stasera ho deciso di condividere qualche dato interessante e qualche pensiero sulla vita della nostra indiscussa eroina, Maria Montessori. Anche nella sua biografia la nostra si contraddistingue per scelte mai scontate, colpi di scena, decisioni eterodosse. Cominceremo con una panoramica dei primi passi della sua opera, dagli studi all’apertura della prima Casa dei bambini. Ecco allora alcune cosa che forse non sapete di Maria Montessori!

1) Tanto per cominciare, pur destinata a diventare una delle figure più importanti nel panorama pedagogico internazionale, Maria giunse piuttosto tardi al mondo dell’educazione, al temine di un viaggio accidentato, coraggioso e caratterizzato dall’alternarsi di esperienze apparentemente molto diverse tra loro. Per ironia della sorte, il cammino che porterà Maria Montessori alla pedagogia prende l’avvio dal netto rifiuto di un percorso di studi superiori finalizzato all’insegnamento. All’epoca, una delle poche vie percorribili per le ragazze che volevano accedere all’istruzione superiore era quella della formazione per divenire maestre. Di fronte a questa prospettiva, tuttavia, la giovane Maria Montessori oppose un netto rifiuto e ottenne di poter frequentare una scuola tecnica. E proprio questo simbolico iniziale rifiuto della pedagogia a lei contemporanea ha permesso a Maria Montessori di iniziare quel percorso di formazione eclettico e non convenzionale sul quale si fonderà il proprio originale metodo pedagogico.
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2) Non fu la prima donna italiana a laurearsi in medicina, come a volte si legge. Ma inizialmente avrebbe voluto studiare ingegneria! Nata a Chiaravalle (An) nel 1870 da una famiglia di buona borghesia, trasferitasi a Roma nel 1875; bambina vivace, interessata inizialmente alla recitazione, già nella scelta degli studi superiori Maria si era distinta, decidendo di frequentare un istituto, il Leonardo da Vinci, prevalentemente maschile. Dopo la maturità tecnica, conseguita con una buona votazione, la decisione iniziale avrebbe portato Montessori a studiare ingegneria, ramo quasi inedito per le donne dell’epoca. Tuttavia, misteriosamente ella cambiò idea, scegliendo invece la facoltà di medicina. Non che questa fosse una carriera più facile per una donna, allora. Anzi, sebbene l’indicazione frequentemente riportata che vorrebbe la Montessori prima donna medico del regno d’Italia non sia corretta, comunque prima di lei le donne laureate non erano state molte, e nel suo corso lei era effettivamente l’unica donna. Come ci ricorda Grazia Honegger Fresco, “Fino al 1896, anno di laurea della Montessori, le laureate in Italia in vari settori furono in tutto sedici contro migliaia di uomini”. L’esordio della Montessori agli studi universitari non fu semplice, e Maria dovette battersi anche per ottenere di potersi iscrivere a Medicina. E una volta ammessa, pur potendo assistere alle lezioni di importanti personalità che avranno un’influenza importante sullo sviluppo del suo pensiero, la giovane Maria dovette confrontarsi con un ambiente estremamente ostile. Non doveva essere facile entrare per ultima a ogni lezione, (era considerato sconveniente che, in quanto donna, entrasse in un’aula prima che tutti gli altri studenti fossero seduti) restare sempre isolata, dover continuamente combattere contro i pregiudizi di professori e colleghi studenti. L’impatto con l’anatomia si rivelò particolarmente difficile e impegnativo. In una lettera del 1896, la Montessori ripercorre con dovizia di dettagli gli sforzi che le erano richiesti per confrontarsi con i corpi nudi dei cadaveri da studiare. Per una donna, le convenienze sociali e l’educazione ricevuta rendevano l’impresa quasi impossibile. Maria combatté la sua repulsione, pagando un uomo perché fumasse mentre lei sezionava i cadaveri. Superò tutti gli ostacoli, e ottenne premi, onori, riconoscimenti.
Prima della laurea, la Montessori cominciò a frequentare le lezioni di clinica psichiatrica di Clodomiro Bonfigli, altro docente destinato ad esercitare una grande influenza su di lei. In quell’anno l’intero corso di Clinica Psichiatrica fu dedicato dal Bonfigli, particolarmente interessato al problema dei bambini “deficienti”, al rapporto tra educazione infantile e malattia mentale; veniva ribadita l’importanza, per i bambini, di ricevere una congrua educazione che permettesse un “sano” sviluppo del carattere e del senso morale. “Finalmente una Medicina che, più vicina all’ideale che andava maturando sempre più la giovane Montessori, si occupava non solo del corpo, ma ‘andava verso’ la persona proponendosi come una delle possibili risposte non solo contro le malattie, ma anche per contrastare la miseria e la povertà che ancora interessavano larghe masse del Regno d’Italia.”

3) Riuscì a far passare brillantemente gli esami a bambini che prima di lei erano considerati “ineducabili”.
Dopo la laurea, Maria cominciò ad esercitare la professione di medico, distinguendosi per la sua passione e attenzione per i pazienti, ma cominciando a conquistarsi anche una certa fama per il grande impegno che profondeva nel diffondere e difendere le proprie idee sul femminismo, la questione sociale, e la necessità di promuovere l’educazione dei bambini allora definiti “deficienti” o “frenastenici”, considerati ineducabili, spesso abbandonati dalle famiglie e dimenticati per sempre nei manicomi. Fu proprio l’incontro con questi bambini, rinchiusi nell’ospedale psichiatrico di Roma, una delle radici della “scoperta del bambino” che avrebbe cambiato per sempre la vita di Maria, e la storia della pedagogia. È molto noto l’episodio narrato da Anna Maria Maccheroni, una delle più fedeli allieve della Dottoressa: i piccoli erano definiti dalla loro sorvegliante “sudici e golosi”, giacché si gettavano a terra per raccogliere le briciole cadute appena finito di mangiare. Montessori si sarebbe avveduta come nella stanza non ci fosse null’altro per poter utilizzare le mani. L’affollarsi dei bambini sulle briciole, dunque, non andava interpretato come segno di sciatteria, ma come grido di aiuto di quelle piccole intelligenze trascurate.
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A fine dicembre 1899, una cinquantina di bambini furono trasferiti dal manicomio al nuovo istituto di via dei Volsci, dove Montessori cominciò le sue sperimentazioni, lavorando con loro anche 11 ore al giorno, coadiuvata dal materiale di Séguin, che aveva studiato in prima persona in Francia, e dai materiali che stava ideando e facendosi costruire. Dal 1899 al 1901 Montessori avrebbe passato ogni momento libero con i bambini. Alcuni di essi riuscirono a superare gli esami di licenza elementare con risultati migliori dei bambini “normali”.

4) Ebbe una sola storia d’amore, finita male, da cui nacque un figlio…
C’è però un’altra spinta profonda dietro alla “scoperta del bambino”: la nascita e l’abbandono del figlio Mario, nato nel 1898 dalla relazione con il collega Mario Montesano, la sola di cui si abbia notizia nella vita di Maria Montessori. Cresciuto da una balia e poi in collegio, Mario non vide la madre che occasionalmente fino al 1913, quando ella lo prese con sé. Da allora i due avrebbero vissuto sempre a stretto contatto, e Mario Montessori si sarebbe rivelato il più stretto e fedele collaboratore della madre. (Fu nel 1950 che un decreto dell’allora Presidente della Repubblica De Nicola lo autorizzò ad utilizzare anche il cognome della madre, che però, fino alla morte, lo avrebbe sempre presentato come un nipote). Della gravidanza, del parto, della rottura con Montesano, della scelta di separarsi dal figlio non sappiamo assolutamente nulla. Possiamo immaginare che la scelta di tenerlo nascosto fosse l’unica compatibile con il desiderio di continuare il proprio percorso professionale, e possiamo solo immaginare l’enorme dolore di questa maternità negata, che nel 1901 portò Maria Montessori ad abbandonare le sue cariche e la professione della medicina per iscriversi nuovamente all’università.

5) Dopo un’inizio di carriera folgorante, lasciò tutto e si iscrisse di nuovo all’Università.
Trentenne, celebre, affermata, Montessori ricominciò a studiare. “Fu il suo primo vero progetto educativo- l’educazione di se stessa”, secondo Rita Kramer, la più esauriente biografa della Dottoressa. Studiò Filosofia, visitò numerose scuole elementari. Visse una crisi profonda, che la spinse ad avvicinarsi alla teosofia, ma anche a ritirarsi per un periodo di meditazione presso un convento.
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Da questi anni silenziosi, di studio Maria uscì con la convinzione che quanto scoperto nell’educazione dei bambini nei manicomi poteva con successo essere applicato anche ai bambini “normali”. La sua grande occasione arrivò grazie all’imprenditore Edoardo Talamo, direttore dell’Istituto romano dei Beni Stabili, che varò un progetto di riammodernamento di case popolari nel quartiere di San Lorenzo.

6) La prima Casa dei bambini fu il risultato di una serie di coincidenze fortunate.
Il 6 gennaio 1907 fu inaugurata quella che, su suggerimento della giornalista Olga Lodi, si sarebbe chiamata “casa dei bambini”. Montessori avrebbe usato questo spazio, una stanza unica, piuttosto grande, arredata con mobilio fatto costruire appositamente, leggero e a misura di bambino, in cui si trovavano i materiali costruiti sino ad allora, come un laboratorio. Pur senza averne precedente esperienza, Montessori riuscì a creare un ambiente ideale per bambini piccoli, perfetto per osservarne le reazioni spontanee. La maestra, Candida Nuccitelli, pare fosse la figlia del custode del caseggiato e aveva, più che altro, il compito di osservare i bambini. A lei, come alle altre che l’avrebbero seguita, venivano impartite poche, ferme istruzioni, decisamente diverse da quanto ci si aspettava, allora come oggi, da una maestra: intervenire solo in seguito a un’osservazione attenta, non disturbare il bambino intento, non punirlo né premiarlo. Presto la maestra riferì a Montessori, inizialmente incredula, che i bambini lavoravano da soli. L’esperimento fu un grande successo, e in breve tempo fu aperta un’altra casa a San Lorenzo, poi, nel 1908, sotto gli auspici dell’Umanitaria la prima di Milano (gestita da Anna Maria Maccheroni) e nel 1909 la quarta, quella di via Giusti a Roma, presso le suore francescane, che ospitava gli orfani del terremoto di Messina. Nell’ambiente accuratamente preparato delle case dei bambini, Montessori scoprì bambini molto diversi da come venivano solitamente dipinti; per nulla capricciosi, essi si rivelarono attenti, scrupolosi, capaci di un livello di concentrazione inaspettato. Lei definisce questo processo “normalizzazione”: sotto al suo impulso i bambini cominciarono persino a leggere e a scrivere, spontaneamente, grazie al lavoro fatto in autonomia con gli alfabetari mobili e le lettere smerigliate.
Fu proprio quest’esplosione della lettura e scrittura, spontanea, intorno ai quattro anni, ad assicurare l’immenso interesse del pubblico e della stampa per l’esperimento montessoriano. Già in quei primi anni si assisteva alla nascita di un vero e proprio movimento montessoriano, che da San Lorenzo avrebbe presto cominciato a diffondersi nel mondo. I suoi pilastri erano il rispetto del lavoro individuale, l’ambiente maestro, accuratamente preparato, la riduzione dell’intervento dell’adulto, l’uso di materiale che consentisse l’autocorrezione degli errori, la collaborazione fra bambini di età diversa, l’importanza dell’educazione sensoriale e degli esercizi di vita pratica. Nel 1909 Montessori si ritirò a Città di Castello, presso i baroni Franchetti, grandi sostenitori della sua opera, dove scrisse il suo Metodo e tenne il primo corso Montessori per insegnanti.

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Nella foto, un’immagine della prima Casa dei bambini. Nella prossima puntata, il successo planetario, i rapporti con cattolicesimo e fascismo, i viaggi…

La normalizzazione

Una parola non tanto eufonica, “normalizzazione”, ci descrive un momento chiave in una classe Montessori. Prima di poter godere della loro libertà, possibile grazie all’accurata preparazione dell’ambiente, al ruolo discreto ma cruciale dell’insegnante, alla presenza dei materiali di autosviluppo, i bambini hanno bisogno di un iniziale periodo di adattamento, di apprendimento dello spazio e dei tempi nuovi, di acquisizione di fiducia in se stessi, nell’ambiente, di conoscenza dell’adulto responsabile, che a volte è il primo dopo la mamma a prendersi cura di loro. In questa fase inziale, la classe e il lavoro che vi si svolge possono essere anche molto diversi da come diventeranno in seguito. Anche i bambini arrivano nella scuola Montessori diversi da come diventeranno, prima che sia avvenuto quel cruciale processo di normalizzazione che solo potrà rivelarne la vera natura. Solo in seguito, ci dice Maria Montessori, “l’educazione è possibile”. Prima, i bambini saranno disordinati, chiassosi, incapaci di concentrazione. In questa fase iniziale, anche l’insegnante agirà in maniera diversa, più attiva, interverrà direttamente, proteggendo così anche la concentrazione dei bambini mano a mano che essa si produce. Maria Montessori non diede mai indicazioni esplicite su come concretamente dovesse svolgersi il lavoro dell’insegnante con i bambini ancora non “normalizzati”. Troviamo diversi suggerimenti in diverse parti della sua opera.

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Nel corso internazionale di formazione tenuto a Londra nel 1946, ad esempio, si raccomanda di non “punire, rimproverare o ammonire quando poniamo fine a un cattivo comportamento”, ma piuttosto di proporre al bambino “di andare a raccogliere fiori nel giardino, o offrire un gioco o qualsiasi occupazione che possa interessarlo”. Anche proporre piccole competizioni può funzionare, con la consapevolezza che in seguito lo spirito competitivo, in sé di ostacolo allo sviluppo, svanirà una volta conquistata la normalizzazione. Nel 1952, invece, ne La mente del bambino, menziona anche la possibilità di rimproverare o alzare la voce, anche se suggerisce, di preferenza, la possibilità di proporre attività collettive o esercizi preparatori “come riporre sedie e tavoli in silenzio, disporre una fila di sedie e sedervisi, correre da un capo all’altro della classe in punta dei piedi, piccoli esercizi di vita pratica”. In questa fase, in ogni caso, la maestra è chiamata a lodare o esortare il bambino. Ancora, ella potrà “valersi di poesie, rime, racconti”, ricordandosi che “una insegnante vivace attrae più di un’altra che non lo è e tutte possono essere vivaci se lo vogliono”. Un altro suggerimento è quello di prestare “un particolare e affettuoso interesse verso il bambino turbolento”. Sempre, però, va tenuto in mente l’avvertimento della Dottoressa: “Non temete di distruggere il male: soltanto il bene dobbiamo temere di distruggere”.

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D’altronde, la riflessione pedagogica montessoriana si era avviata nel contesto dell’educazione dei bambini “ortofrenici”, di fronte ai quali il maestro doveva avere un ruolo decisamente attivo, quello del “suggestionatore”: “il maestro deve possedere un forte potere suggestivo, che potrà acquistare parzialmente con arte. Il maestro dovrebbe essere fisicamente bello, di imponente persona; dovrebbe avere una voce limpida, modulata; un potente sguardo, energico il gesto e espressiva la mimica del volto”. Un maestro, dunque, che deve saper comandare e farsi ubbidire. Nel corso del tempo, più che a un’evoluzione del pensiero montessoriano, assistiamo in effetti a un’oscillazione dinamica fra due poli, fra il maestro umile che lascia spazio alla potenza creatrice del bambino e l’insegnante autorevole, solo responsabile di quanto avviene nella sua aula. Ancora nel 1916, ne l’Autoeducazione, la figura magistrale viene esaltata in tutta la sua importanza, visto che è “il maestro che deve formare l’allievo: nelle sue mani sta lo sviluppo dell’intelligenza e la coltura dei bambini […] tutto è opera direttamente sua [… ] il creatore è il maestro”. Altri passaggi, precedenti e successivi, esaltano invece il potenziale autonomo di apprendimento del bambino. È necessaria una comprensione profonda dell’idea del bambino “scoperta” da Maria Montessori col suo lavoro, perché il maestro sia in grado di districarsi con successo fra quanto è necessario e il superfluo.

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All’inizio, in ogni caso, il lavoro del maestro e del bambino saranno diversi. Ne La mente del bambino la Montessori si sofferma a lungo su questo passaggio, delineando con precisione i problemi cui si trova di fronte la maestra ancora inesperta, ma “piena di entusiasmo e di fede in questa interiore disciplina, che dovrebbe svilupparsi in una piccola comunità”.
Dobbiamo aver presente che il fenomeno della disciplina interiore è qualcosa che deve compiersi e non qualcosa di preesistente. Nostro compito è di guidare sulla via della disciplina […] Il felice compito dell’insegnante è di mostrare la via alla perfezione, provvedendo i mezzi e rimuovendo gli ostacoli, a cominciare da quello che essa stessa può opporre: perché l’insegnante può essere un grandissimo ostacolo. Se la disciplina fosse preesistente, il nostro lavoro non sarebbe necessario.
Una volta avvenuta la normalizzazione, libertà e disciplina andranno naturalmente a braccetto. A quel punto, saranno i bambini i protagonisti del lavoro in aula. Correggere e impartire insegnamenti, infatti, non è il ruolo dell’insegnante montessoriano, che deve avere chiaro il principio di non dover “insegnare concetti per mezzo dei materiali, né persuadere il bambino a usarli senza commettere errori, chiedendogli di finire ‘bene’ qualsiasi lavoro abbia intrapreso”. Il materiale non rappresenta “un ausilio didattico” ma piuttosto un mezzo per realizzare autonomamente il proprio sviluppo interiore. Con fiducia e amore, con pazienza e rispetto, il lavoro dell’insegnante e l’influenza dell’ambiente faranno sì che, a uno a uno, i bambini che si avvicinano per la prima volta ad un ambiente montessoriano si “normalizzeranno”. Solo allora sarà possibile assistere, come si assiste da più di un secolo, in tutto il mondo, al meraviglioso dispiegarsi di tutte le potenzialità di gentilezza, concentrazione, intelligenza presenti in ogni bambino. Ogni genitore lo sa, ma è stata Maria Montessori a rivelarlo al mondo. I nostri bambini sono creature splendide, e sta a noi la responsabilità di circondarli dell’ambiente giusto perché tutte le loro meravigliose qualità possano esprimersi al meglio.

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