luce“It is hoped that when this sentiment of love for all subjects can be aroused in children, people in general will become more human, and brutal wars will come to an end. But a love for science and art, and all that mankind has created, will not suffice to make men and women love one another. To love a beautiful sunset, or to look with wonder on a tiny insect, does not necessarily awaken a greater feeling of affection towards humanity, nor does a love for art in a man beget a love for his neighbor. What is necessary is that the individual from the earliest years should be placed in relation with humanity….Let us in education always call the attention of children to the hosts of men and women who are hidden from the light of fame, so kindling a love of humanity; not the vague and aenemic sentiment preached today as brotherhood, nor the political sentiment that the working classes should be redeemed and uplifted. What is most wanted is no patronizing charity for humanity, but a reverent consciousness of its dignity and worth.” – Maria Montessori, To Educate the Human Potential

Figlia

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Oggi non voglio chiederti cosa hai imparato.
Non voglio nemmeno pensare a cosa avrei voluto che imparassi.
Vorrei, invece, raccontarti cosa ho imparato io.
Oggi ho imparato ad accettare l’abbraccio di uno sconosciuto.
Ho imparato ad affacciarmi su un dolore senza fondo.
Ho guardato i colori dell’autunno colorare le montagne.
Ho sentito la mente mollare gli ormeggi, e il corpo aprire nuovi spiragli.
Ho esplorato, ancora una volta, il difficile confine fra pazienza e perdita di sé.
Compreso quanto difficile sia il perdono.
E allora, figlia mia, voglio chiedere a te di perdonarmi
per quanto non potrò tenere fede al mio impegno.
Il mio impegno a celebrare le tue stranezze,
a accarezzare la tua rabbia, a accogliere la tua paura, a cantare il tuo viaggio,
a festeggiare ogni cosa di te che mi mette in difficoltà.
Perdonami se in quei momenti (quando non ti capisco, quando non mi capisco)
ti rispondo senza respiro,
senza uscire da una forma automatica, dura, tagliente, fredda.

Tu sei perfetta, così come sei.

Nella gioia il mio miracolo, nel disagio il mio specchio.

Posso solo respirare,
e danzare la mia danza,
piena di amore e grata del privilegio immenso
di poter assistere alla tua.

La foglia Roland (liberamente tratta da “La foglia Muriel” di Leo Buscaglia)

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Una storia per raccontare la perdita ai bambini, con un sentito ringraziamento (con il consueto ritardo…) a zia Ida, a Marlene, a tutta la famiglia e un affettuoso pensiero per nonna Gina e, naturalmente, Roland. Grazie.

Roland, era questo il nome di quella splendida foglia sul Grande Faggio, il maestro centenario di tutti gli alberi di un giardino pubblico.

Alla sua nascita, Roland era proprio un minuscolo germoglio. Insieme ad altri germogli, era diventata grande e rigogliosa, prima ricoperta di un velo di peli, di un verde tenero e lucido e poi verde scuro.

Roland aveva una grande fortuna: era appesa ad grosso ramo vicino ad un altro albero, un acero. Aveva quindi la possibilità di allietarsi con le sue sorelle foglie di faggio, ma anche di ascoltare ed imparare la lingua delle sue vicine foglie di acero.

A Roland piaceva la sua posizione, talvolta si divertiva sul faggio e altre volte si allungava per giocare con le amiche foglie di acero. Lei stava bene con tutti e tutti le volevano bene.

Accanto c’era una foglia che si chiamava Andreas, che lei amava particolarmente. Era una foglia speciale, non era uguale alle altre, no, il suo margine non era dentato come di norma, era una foglia liscia. Attraverso il margine dentato le foglie potevano proteggersi, Andreas, no. Per questo Roland cercava di starle sempre vicino, per poterla aiutare in caso di bisogno.

Roland era molto attenta ai bisogni delle altre foglie, anche delle sue vicine foglie di acero.
Un giorno vide una foglia del vicino acero inzuppata di acqua e sofferente per questo. Era tutta piegata per il grande peso dell’acqua che doveva trasportare.

Roland chiamò subito la foglia saggia del suo albero, Ida. Lei avrebbe forse avuto un’idea per aiutare quella foglia. Insieme decisero di chiamare il vento e di chiedergli di soffiare forte su quella foglia. Così fu. Il vento arrivò e soffiò via l’acqua e la foglia sofferente si poté riposare.

Roland faceva parte delle foglie di quel grande faggio, sembravano tutte uguali, ma non lo erano. Osservate da vicino, tutte avevano una particolarità.
E’ vero, erano cresciute, su di loro insieme avevano danzato gocce di pioggia, aveva saltato la brezza mattutina e insieme si erano distese per nutrirsi di luce.

Roland era orgogliosa di essere una foglia, di stare con le sue sorelle e di avere delle amiche straniere vicine. La sua stagione preferita era stata l’estate, lì poteva chiacchierare a lungo con le sue amiche vicine foglie di acero e osservare ciò che facevano gli esseri umani in quel parco pubblico.

Una volta si era arrabbiata tanto a vedere che un bambino faceva la pipì proprio sul tronco del suo albero. Per fortuna la foglia saggia, Ida, le aveva spiegato che ai bambini spesso scappa la pipì di fretta e devono farla al più presto altrimenti si bagnerebbero le mutande e i pantaloni. Per questo Roland si rasserenò e perdonò quel bambino.

Presto l’estate finì e cominciò ad arrivare il vento freddo.

Roland non capiva cosa stesse succedendo, tutte le sue sorelle stavano cambiando colore: non erano più verde scuro, ma gialle, marroni e rossastre.

Chiamò subito la foglia saggia, Ida, e le chiese spiegazioni.
“Perché ora siamo di colore diverso, visto che siamo tutte foglie dello stesso albero?”
La foglia Ida saggiamente rispose: “ Caro Roland, ognuna di noi, seppur sullo stesso albero ha vissuto esperienze diverse, ha preso luce in una posizione diversa, ha succhiato la linfa in modo diverso e ha proiettato l’ombra in modo diverso. Come potremmo essere tutte uguali?”

Un giorno accadde una cosa strana, passo una brezza di vento e fece cadere una vecchia foglia che era lì attaccata da anni.
Roland chiamò ovviamente la foglia saggia: “Ida, cos’è successo a quella foglia, dov’è andata e perché si è staccata?”
Ida rispose: “E’ caduta a terra. Per ognuna di noi arriverà il tempo di andare altrove, ci staccheremo da qui e arriveremo al suolo. Dicono che questo si chiami morire.”

Roland si incuriosì: “Ma succederà a tutte, anche alle foglie vicine, quelle di acero?”
Ida rispose che era normale, che ogni foglia nata sarebbe ritornata alla terra.

Roland allora chiese: “Ma allora perché siamo nati?”
Ida sorridendo rispose: ”Per conoscere la Terra per conoscer gli effetti della Luna e del Sole, per imparare dalla vita, per danzare al vento e divertirci, per bagnarci sotto la pioggia e poi nutrirci con il calore del sole, per amare ed essere amati!”

Ad un certo punto arrivò un forte soffio di vento e Roland si staccò dal ramo. Roland non sentì male, fluttuò dolcemente verso il basso, tranquilla ed in silenzio.

Poco dopo la foglia Roland fu coperta di uno strato di neve.

Era arrivato l’inverno.

Quella neve la impregnò di acqua e la rese pesante, tanto pesante da farla immergere nel terreno. Roland aveva finalmente capito ora il suo scopo. era quello di nutrire le radici del Grande Faggio.

E proprio lì appoggiata a terra scoprì che si stavano già facendo tanti progetti per le nuove foglie che sarebbero cresciute in primavera.

Sul Grande Faggio, maestro centenario di tutti gli alberi di un giardino pubblico, in primavera, spuntò un germoglio, il suo nome era….

Di capricci, amore incondizionato e “mindfulness”

(Sì, aspettavate tutti con ansia e impazienza la seconda puntata sulla vita della nostra. Arriverà.)

Guardando le mie bambine, mi chiedo a volte se l’amore che provo per loro sia uguale. Ma come potrebbe esserlo? A parte le enormi differenze di carattere, preferenze, personalità, è davvero possibile amare allo stesso modo un neonato, un bambino ancora troppo piccolo per essere grande ma troppo grande per essere piccolo, e uno che potrebbe sembrare un adulto in miniatura, se non fosse assorbito in un mondo a volte totalmente strampalato? Al di là delle differenze fra di loro come persone, mi rendo conto che è diverso anche l’atteggiamento che ho io di fronte a loro, soprattutto nei momenti difficili.

La qualità di amore che riusciamo a provare per i neonati è speciale. Che ci tengano svegli tutta la notte, ci mordano ferocemente mentre li allattiamo, ci tirino i capelli, strillino ininterrottamente per ore: nulla sembra capace di suscitare rabbia in noi, innamorati della loro innocenza, della loro natura, della loro dipendenza da noi. A un certo punto, però, questa magia finisce. Arriva un momento in cui non riusciamo più ad accettare i bisogni dei nostri bambini, in cui sentiamo di dover cominciare a insegnare loro la disciplina e allora, da qualche parte dentro di noi, nasce la rabbia. I bambini, da parte loro, ci sfidano, cercando di capire cosa è consentito e cosa no, testando il terreno per capirne la solidità. Ed è davvero difficile restare sereni e centrati, c’è spesso in agguato un mostro che urla, vorrebbe punire, impazzisce all’idea di non riuscire a controllare le reazioni di quella creatura che improvvisamente non sembra più così innocente, ma che anzi pare volerci sfidare al solo fine di trovare i nostri limiti.

mind-full (immagine dal sito http://www.enthusiasticbuddhist.com)

Anche perché è dura cercare di dare le giuste attenzioni a diversi bambini, mentre la casa sembra aver appena esperito il passaggio di un uragano e qualcosa bisognerà pur fare per cena?! Davanti al pianto di un neonato tutto passa in secondo piano, ma quando quel neonato è cresciuto vogliamo (a volte anche giustamente) che le nostre esigenze tornino ad essere considerate.

Per me è molto difficile trovare quello stato di “mindfulness” , di connessione con la parte più profonda di me stessa che mi metta in condizione di stare nel momento presente, di connettermi con le mie bambine, di capire cosa è davvero importante e cosa può aspettare. Anche perché sono stata sfortunata, non ho frequentato una scuola Montessori dove l’avrei potuto imparare sin da piccola… Però voglio ricordarmi, stasera e ogni qual volta mi sarà possibile, di avere fiducia nella natura delle mie bambine. E quando continuano a fare qualcosa che per me è inaccettabile, sapere e capire che non sono loro, a dover cambiare, ma le condizioni esterne, l’ambiente e, tante volte, io. Sono io l’adulto, io la responsabile del clima che si respira nella mia casa.

Queste, credo, sono le due lezioni più importanti di Maria Montessori: la fiducia nel bambino e il dono prezioso della presenza, della concentrazione, della “mindfulness”, che cerchiamo di dare loro sin da piccoli in una scuola Montessori, ma che possiamo cercare di imparare anche noi adulti.